Divagazioni al buio

Divagazioni al buio: una conversazione con lo stampatore Luciano Corvaglia

Divagazioni al buio: una conversazione con lo stampatore Luciano Corvaglia

Un pomeriggio in camera oscura con Luciano Corvaglia può riservare molte sorprese, e non solo per le stampe che una dopo l’altra prendono forma nelle bacinelle. Ci ritroviamo a luci spente, tra negativi originali degli anni ’60 e tante chiacchiere sulla fotografia, mentre dalla stanza accanto Thomas suona un brano di musica classica.

Partiamo dalla figura dello stampatore e dalla sua importanza per i fotografi: oltre ad occuparsi delle stampe, ha spesso ricoperto un ruolo centrale in tanti aspetti della produzione fotografica. Cosa ci vuoi dire di questo?
È un aspetto interessante, perché è una cosa per nulla scontata. Alcuni fotografi sono bravissimi a scattare, ma non sanno scegliere una fotografia nemmeno sul provino. Una volta era comune che fosse lo stampatore a dare un’occhiata alle immagini prodotte e, in camera oscura, individuasse i fotogrammi migliori, quelli che di solito il fotografo non vedeva.

Una definizione che potrebbe essere vicina alla figura del photoeditor.
Non direi, il photoeditor è venuto dopo. Non ho mai avuto a che fare con loro, non so nemmeno più come funzioni; so soltanto che il fotografo, quando varcava la soglia di un laboratorio di stampa, si sentiva di entrare in uno spazio dove c’erano altri professionisti in grado di aiutarlo nel suo lavoro. Ma non solo: molti venivano da me anche per capire se avessero lavorato bene o meno. C’era un confronto. Chi scattava le fotografie non sempre capiva se aveva messo bene il flash o se era riuscito a mantenere il fondo bianco; tutta una serie di elementi che dipendono dal genere di fotografia che si fa.

Ora che la figura dello stampatore è cambiata notevolmente, pensi sia cambiata anche quella del fotografo?
In realtà la figura dello stampatore non c’è proprio più. Ormai i fotografi si affidano ad assistenti che sono espertissimi di Photoshop, ma che non possono avere lo stesso background di un laboratorio di stampa. Un elemento fondamentale di uno stampatore è la varietà: spaziando dall’architettura al reportage alla moda, ci si forma mentalmente e visivamente in tutti i campi. Se un fotografo interagisce con qualcuno che smanetta su Photoshop e basta, non avrà mai possibilità di crescita, perché gli mancherà il confronto esterno, oggettivo e professionale. Non ce l’ho con questi ragazzi, però mi chiedo come possano essersi formati. Ho spesso l’impressione che si tratti di competenze create al momento, che non hanno una radice profonda di interpretazione dell’immagine.

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Con la giusta esperienza e cultura visiva, pensi si potrebbe ottenere un lavoro di buona qualità anche tramite strumenti digitali?
Dipende dai casi, ma generalmente sì. Non ho alcun problema ad utilizzare Photoshop, per me è una forma di svago. Un conto è fare qualcosa sul computer, un conto è farlo in camera oscura: data la difficoltà di quest’ultima, Photoshop per me non è lontano dall’idea di giocare con la Playstation. Mi risulta quasi imbarazzante domandare dei soldi per farlo. Mi chiedo: ma veramente mi pagano per giocare al computer? Non è possibile!

[Riaccendiamo la luce]

Sai qual è il problema più grosso? Oggi ognuno sta per conto suo. Quello che era forse l’aspetto più affascinante del lavoro è scomparso, e non lo dico per essere romantico. Io venivo al lavoro sapendo che avevo del materiale di cui dovevo prendermi cura. Anche il fotografo sapeva che poteva riposarsi, perché nel frattempo c’erano persone competenti che lavoravano per lui.

Adesso capita che un fotografo debba fare tutto da solo: anche non volendo, entrano in gioco questioni economiche e richieste di mercato.
Ma non è possibile! Come può una persona saper fare tutto quel lavoro? Anche Leonardo è andato a bottega. Per me andare in laboratorio voleva dire entrare in camera oscura che era buio ed uscirne nuovamente col buio. A volte la sera mi accorgevo che avevo sbagliato tutto, e allora che facevo? Ricominciavo a stampare per tutta la notte.
In camera oscura ci sono delle regole, un po’ come nella musica: se fai un errore, si sente e questo non è tollerabile  –  a meno che tu non abbia fatto dell’errore la tua cifra stilistica, ma sono casi a parte, pieni di regole anch’essi ed ancora più difficili.
Con il computer le imprecisioni si possono nascondere facilmente, e si finisce troppo spesso ad indulgere verso i propri errori. Su questo sono molto pessimista: se non si ricomincerà ad andare a bottega, le cose non miglioreranno. Non voglio cadere nel ritornello “ah, una volta le cose erano diverse”, dato che mi occupo anche di lavori video digitali, ma è importante riflettere criticamente sul mezzo.

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Da quattro anni ti occupi del Darkroom Project, un appuntamento dedicato alla fotografia analogica e alla sperimentazione con l’obiettivo di tenere vivo l’interesse per il mondo della camera oscura. Un occhio particolare è riservato ai giovani: che messaggio far passare rispetto alle difficoltà di cui abbiamo parlato?
Il mio obiettivo è far capire ai ragazzi che stare in una camera oscura e giocare con la luce ti dà una sensazione bellissima; è un momento in cui ti puoi sentire quasi un dio. Quando faccio delle mascherature per far passare più o di meno luce, intervengo su elementi naturali come la fisica e la chimica: mi relaziono con la natura, non con un oggetto freddo e meccanico.
È la stessa differenza che c’è tra la tastiera di un pianoforte in legno e una tastiera elettronica. La prima si scorda, è dura, ha delle caratteristiche tutte sue, però posso sentire le sue vibrazioni dentro di me; la seconda è forse più performante, ma non reagisce alle mie sfumature. Entrambe le tecniche hanno il loro fascino e non si eliminano a vicenda, però stiamo attenti, perché una sta morendo, ed è un peccato.

Le tecniche digitali di stampa si stanno avvicinando a una qualità che può essere paragonata alla camera oscura. Come integrare questo dato?
Preferisco parlare di “valore” più che di “qualità”. Mi sento nel momento opportuno della mia vita per dare un senso diverso al tempo e al modo in cui esso viene speso. Quest’idea può riferirsi anche al concetto di opera. Creare un’opera significa dare vita a qualcosa che, una volta realizzata, non ti appartiene più. Cosa rimane allora? Il tempo che hai impiegato per farla e ciò che hai vissuto in quel tempo. La condivisione con le persone e l’azione stessa del fare.
Se lo pensiamo in relazione al mondo dell’arte, il momento creativo assume tutt’altro valore. Se fossi stato vicino a Picasso mentre dipingeva Guernica, non mi sarei neanche interessato al quadro, mi sarebbe bastato stare vicino a lui. Per tornare alla domanda di prima, Darkroom Project ha una grande importanza proprio per il tempo passato insieme, un momento creativo e condiviso tra tanti.
Non mi aspetto di essere capito da tutti, è una visione soggettiva… ma spesso i ricordi dei vari anni passati a Muro Leccese non sono le foto, che sicuramente sono importanti: i ricordi più belli sono altri, sono i momenti trascorsi insieme.

C’è un altro progetto di cui ti stai occupando, una galleria. Quanto è in linea questa scelta con le tue esperienze passate? Cosa ci vuoi raccontare del primo progetto di galleria di cui ti sei occupato?
Se dovessi fare riferimento solo alla mia prima esperienza [Galleria Evangelisti + Corvaglia, chiusa nel 2004, nda] non sarebbe un esempio molto positivo. Però questo non mi ha fermato, e la nuova galleria è un progetto in cui credo realmente.
Possiamo dire che esiste un confine, superato il quale non si torna più indietro: quello tra il lavoro e l’impegno mentale. È stato talmente faticoso passare tutti questi anni in camera oscura che ho bisogno di continuare a lavorare per e con la fotografia, anche affrontando il pericolo di fallire. La galleria sarà un’esperienza che attingerà molto dal Darkroom Project, ma anche uno spazio dedicato all’arte contemporanea.

[Esce un’altra stampa]

È molto più bella questa.
Ti piace? È molto più vera.

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Parlavamo della galleria…
È ancora tutto in divenire. Sarà uno spazio vuoto che potrà essere riempito di volta in volta con diversi elementi, senza avere binari prestabiliti.
Sarà anche uno spazio dove realizzare i miei lavori: uno studio, un laboratorio, una galleria, un luogo aperto. Il progetto espositivo dipenderà da ciò che avremo da dire, ma anche il silenzio è un messaggio. In una galleria ci dovrebbero essere anche dei momenti di pausa e di riflessione, che non necessariamente sono un aspetto negativo. Ci hanno insegnato che tutto va di corsa, ci fai caso? La gente non si annoia più. La noia, invece, è una cosa importante.

Anche in camera oscura c’è la noia?
No, lì no. C’è solo concentrazione. Una volta mi è capitato di insegnare la camera oscura a delle persone con disturbi mentali. In quei momenti stavano bene, perché avevano la possibilità di staccare completamente con la loro patologia e concentrarsi unicamente sulla stampa.

Ed erano bravi?
No, assolutamente! Però li seguivo ed erano molto contenti di lavorare con me. Ho dovuto smettere perché mi assorbiva troppo tempo ed energie.

I tuoi contatti con la fotografia sono stati vari e molteplici, non solo nel campo della stampa…
Ho iniziato veramente giovane e negli anni ho fatto anche il fotografo, lavorando con il Corriere della Sera ed altre testate. Ho esposto in diverse mostre e mi sono occupato di nudo. Uno stampatore non può non essere anche un fotografo.

Hai abbandonato del tutto lo scatto fotografico?
Al momento scatto solo con l’iPhone e realizzo dei video digitali. La fotografia si è molto inflazionata, diventando sempre più facile e fruibile. Il video invece è rimasto abbastanza complesso, grazie anche agli aspetti sonori. Ad oggi mi intriga più della fotografia.

Non hai mai pensato di occuparti solo di video?
No, ormai è troppo tardi. In ogni caso, il mondo del cinema non mi piace molto, soprattutto dal punto di vista umano.

Per quanto riguarda il mondo della fotografia, invece?
Non saprei che dire, sto quasi sempre chiuso al buio e neanche vado a vedere le mostre fotografiche.

Nemmeno quelle che stampi personalmente?
No, assolutamente! Giusto qualcuna negli anni. In caso contrario, sarei dovuto andare ad una mostra a settimana per tutta la vita. Mi sono avvicinato alla fotografia perché la consideravo un’espressione artistica, ma il lavoro è un altro discorso.

Hai trovato quello che cercavi nella fotografia?
Lo sto facendo adesso. In questo momento ho sempre più spesso a che fare con persone che utilizzano la fotografia come una forma di ricerca. Sicuramente è meno redditizio, ma molto più piacevole.

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Possiamo pensare alle difficoltà di lavoro odierne come un vantaggio per alcuni aspetti personali?
Se vuoi, sì. Ritengo però che ci siano delle differenze, in termini di profondità e approfondimento, tra il fotografo, l’artista e il fotografo-artista. La fotografia per sua natura è facilmente avvicinabile da persone senza grandi abilità tecniche; ma non va dimenticato che rimane pur sempre un lavoro e, in quanto tale, ha delle caratteristiche ben precise.
Mi viene da pensare all’intervista che ho realizzato recentemente con Gerald Bruneau, il quale racconta di molti aspetti del suo lavoro, ma soprattutto dei significati e dei motivi per cui ha intrapreso questa strada. Il fotografo per me è molto vicino a quello che lui dice.

[Squilla il telefono]

Vorrei tornare a parlare del rapporto che secondo te intercorre tra fotografia e arte. Operi una distinzione tra i due campi, come due elementi che dovrebbero essere aiutati a dialogare in uno spazio?
No, non sono realtà tra cui faccio distinzione. Valuto con cura caso per caso.

Puoi farmi qualche esempio?
Prendiamo il settore del fotogiornalismo. È opinione diffusa che il fotoreporter debba rappresentare i fatti in modo sterile. In realtà, osservando molti reportage si ha la sensazione che al fotografo non interessi niente di ciò che ha di fronte, a parte trovare lo scatto perfetto. Ma se il tuo compito è di raccontarmi quello che succede e questo avviene tramite delle scelte stilistiche, non mi permetti più di conoscere quello che è accaduto, ma la tua visione delle cose.
Detto questo, penso che ognuno possa fare ciò che vuole, ma in quei casi la scelta corretta sarebbe quella di fare l’artista e non il fotogiornalista. Sotto questo aspetto l’artista non è ipocrita, in quanto la creatività ragiona su termini individualistici, ma il fotografo sì. Se non c’è pretesa di impegno sociale, ma solo bisogno di esprimere il proprio pensiero, allora non c’è nemmeno contraddizione.

Intervista a cura di Flavia Culcasi

Per tutto quello che non abbiamo trattato in questa intervista rimando al testo curato da Roberto Cavallini, che fa da introduzione al libro NEGATIVOPOSITIVO – Diario di uno stampatore, edito da Postcart.

Luciano Corvaglia
Lamberto Pennacchi e Giovanni Costantini, le due persone che mi hanno fatto amare la fotografia e la stampa. Era il 1981. Frequentavo l’istituto Roberto Rossellini di Roma. Uscito da scuola mi chiudo nella camera oscura di Franco Bugionovi per otto anni, dove ho stampato per i più grandi fotografi di moda, reportage, ritratto, nudo, ogni tipo di fotografo di livello internazionale. Ca**o stavo sempre chiuso al buio. Negli ultimi dodici anni la mia attenzione si è spostata sempre di più verso l’allestimento e la cura delle mostre, fino ad approdare ai video. Tutt’ora, ca**o, sto comunque chiuso al buio.

The Darkroom Project
The Darkroom Project è una factory indipendente, uno spazio dedicato alla ricerca artistica dove esplorare sperimentazioni ed esprimere la propria curiosità e la propria passione attraverso il dialogo ed il confronto. Il progetto nasce nel 2010 da un’idea dello stampatore professionista Luciano Corvaglia, con la finalità di mantenere viva l’attenzione degli appassionati e dei professionisti sui processi in camera oscura e, soprattutto, far conoscere alle nuove generazioni, o a chi non ne ha mai avuto la possibilità, la magia della stampa ai sali d’argento.

Canale Youtube di Luciano Corvaglia
Per informazioni su The Darkroom Project: sito / pagina FB

FONTE:

http://www.artnoise.it/divagazioni-al-buio-una-conversazione-con-lo-stampatore-luciano-corvaglia/

 

 

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